[Bungou Stray Dogs] hold me while you wait (parte 3)

Titolo: hold me while you wait (parte 3)
Fandom: Bungou Stray Dogs
Personaggi: Dazai Osamu/Nakahara Chuuya, Sakaguchi Ango
Rating: SAFE
Prompt: e alla fine, niente lieto fine [COW-T 12 – week 5, m2]
Wordcount: 5748
Avvertimenti: Reicarnation AU, No abilities AU, (Past) Major Character Death, Angst, lievi spoiler delle Light Novel (Stormbringer), Chuuya swears a lot, Hurt with no comfort
Riassunto: in aggiornamento!

I giorni successivi passano immersi in un monotono senso di spossatezza che lo lasciò prosciugato di molte delle sue forze. 

Riprese a dormire poco per qualche notte e non riusciva a mantenere la concentrazione per più di due minuti di fila durante le lezioni, quando si sentiva svuotato di ogni interesse anche per quelle. Ottenne un punteggio appena sufficiente ai due progetti che consegnò alla fine della settimana, facendo vacillare la sua media.

L’irrequietezza tornò a far capolino nelle sue giornate, un sottotesto perenne al vortice che erano i suoi pensieri – ma tra tutto almeno a quella ci era abituato. Si portò anche i lasciti di quel fastidioso mal di testa che gli faceva pulsare di tanto in tanto le tempie durante il giorno.

Gli sembrava di essere tornato di nuovo a com’era al liceo, sfiancato sotto il peso di ricordi che non avevano assunto ancora né forma né senso logico e lo rendevano solo stanco, arrabbiato e inquieto.

Solo che Chuuya non era più quel sedicenne che non vedeva ancora il quadro completo delle cose. Era un giovane adulto di vent’anni e rotti che il quadro adesso lo vedeva eccome e che si supponeva fosse più vicino a quel punto in cui avrebbe dovuto sapere finalmente cosa ne volesse fare della propria vita.

Invece questa continuava a sfaldarsi tra le sue mani, adesso tanto quanto allora. 

Quantomeno non gli capitarono più attimi di malessere come succedeva al liceo e com’era successo anche quel giorno in stazione. Era abbastanza sicuro, almeno su quello, che poteva bollarlo come un episodio isolato e casuale e chiuderla lì. 

Pure Kouyou a un certo punto ebbe il sentore di qualcosa e, in una delle loro chiamate serali, gli chiese se andasse tutto bene.

Così Chuuya decise da sé, dandosi due schiaffi in faccia, che sì, andava tutto bene.

Si infilò di buon mattino nel primo cafè che trovò sulla via, nella speranza di svegliarsi con una doppia dose di caffeina e di trovare un po’ di benedetta calma da qualche parte per studiare.

Era ancora indicibilmente stanco, ma si mise in fila verso la cassa con l’intenzione di rimettere il treno in carreggiata, a partire dal suo rendimento accademico che era la prima cosa che poteva controllare. Perché, che gli piacesse o meno, anche la sua vita andava inesorabilmente avanti. E perché dopo essersi fatto il culo per tre anni, non poteva far andare tutto a puttane proprio all’ultimo semestre.

Doveva ingoiare il nodo che gli si formava ogni tanto alla gola e mettere davvero un punto al capitolo di Dazai. Andare alla pagina successiva, o strappare tutte quelle di prima e tornare indietro, fingendo direttamente che non si fossero mai incontrati.

Un passaggio semplice così per com’era.

(Ma l’universo non era mai stato magnanimo con Chuuya.

Sapeva essere crudele in mille modi. E non avrebbe iniziato a esserlo di meno quel martedì mattina solo per assecondare la sua buona volontà.)

«Chuuya-kun»

Chuuya sobbalzò nel sentire chiamare il suo nome in mezzo al chiacchiericcio di una caffetteria in cui non era mai entrato prima. Si voltò per trovare, in fila proprio dietro di lui, un giovane ragazzo di appena qualche anno più grande che portava ancora gli stessi occhiali rotondi di una vita che non era più davvero sua.

Ditemi che mi prendete per il culo.

La naturale e familiare compostezza della figura di Ango mal si affiancava all’espressione di aperta sorpresa che aveva disegnata in volto, quasi non riuscisse a credere ai propri occhi nel vedere chi si fosse trovato davanti.

A Chuuya venne onestamente solo voglia di urlare.

«Cristo santo, ma vi siete messi d’accordo!?» sbottò, più esasperato che incredulo «Ventiquattro fottuti anni senza vedere nessuna delle vostre facce di merda e in due settimane sbucate ovunque come dei cazzo di funghi!»

Forse non fu la reazione più educata che avesse a disposizione nel suo repertorio, ma Chuuya aveva planato ben ore tutte le sue soglie massime di sopportazione e aveva alle spalle un numero di ore di sonno che arrivava a stento a otto se sommava tutte quelle degli ultimi cinque giorni. Il filtro delle buone maniere lo aveva perso già da un pezzo, da qualche parte lungo la strada.

Ango trasalì sul posto, non aspettandosi – com’era ovvio – di ricevere un tale sfogo in cambio del suo saluto. Ma la cosa non sembrò comunque scoraggiarlo. Chuuya lo vide sul punto di aggiungere altro quando la cassiera del cafè interruppe il discorso sul nascere facendogli notare che era arrivato il suo turno.

«Prego, avanti il prossimo!»

Chuuya lanciò uno sguardo all’altro che, schiarendosi la voce con un colpo di tosse, gli fece segno di andare pure. Si avvicinò quindi alla cassa e ordinò un cappuccino con doppio espresso – con la tentazione di chiederne addirittura tre, ma trattenendosi per non rischiare un infarto entro l’ora successiva. Era veramente stanco. Ed era stanco pure di ripetersi che lo era, cazzo.

Prima che potesse pagare però, Ango gli mise una mano sul portafogli per farglielo mettere via, mentre tirava fuori dalla tasca il proprio.

«Lascia che ci pensi io, per favore»

Un rantolo di protesta gli stava già salendo alle labbra, ma Ango gli rivolse un sorriso triste e malinconico che nascondeva tacitamente la richiesta di assecondarlo, solo per quella volta. E Chuuya si trovò privato della forza di controbattere, accettando così la gentile offerta. 

Si appartarono al bancone in fondo al locale dove non era accomodato quasi nessuno, con tutti i clienti che preferivano la fila di posti davanti alla finestra a parete che dava sulla strada. Avrebbero potuto usare gli sgabelli alti per sedersi, come faceva l’unico altro signore messo vicino a loro con giornale alla mano, ma entrambi trovarono più comodo rimanersene in piedi.

Ango diede una mescolata al suo tè prima di tornare a Chuuya con lo sguardo, sorridendogli ancora una volta con una nota di nostalgia. Paradossalmente, si stava comportando più lui come un amico che non vedeva da tempo di quanto non avesse fatto Dazai.

«Mi fa molto piacere vedere che stai bene, Chuuya-kun» gli disse con un sottile affetto nella voce che Chuuya non si sarebbe aspettato così tanto di trovare. La cosa però non gli dispiacque affatto.

Rigirò anche il suo cappuccino muovendo la tazza in cerchio e facendo attenzione a non farne fuoriuscire nulla.

«Forse ti suonerà strano» valutò con un sospiro alla luce del suo sfogo di poco prima, mentre soffiava sulla bevanda bollente «Ma anche io son contento di vedere che non sei messo male nemmeno tu, quattrocchi»

Ango non sembrava comunque essersela presa, da come fece spallucce e gli sorrise di nuovo.

«Ti ringrazio molto»

Chuuya non lo aveva detto solo per circostanza. Era vero. Al di là della sua iniziale reazione, gli faceva realmente piacere rincontrare Ango e vedere che stava bene. La felicità che provava nel sapere che almeno gli altri avevano trovato un po’ di pace nella loro nuova vita non si faceva di certo meno genuina solo perché la sua era un groviglio ancora da sciogliere, a volerla mettere in termini gentili. La cosa valeva per Kouyou, Akutagawa, Atsushi, e valeva anche per il quattrocchi lì con lui.

(Dio, in fondo sapeva che valeva anche per quell’ingrato di Dazai.)

Ango gli chiese con cordiale interesse cosa faceva adesso.

Chuuya masticò l’aria, non troppo entusiasta di rispondere, ma alla fine lo fece comunque. Gli spiegò che frequentava corsi di arte e pittura in una scuola di specializzazione. Una volta finito il liceo si era ritrovato senza alcun reale piano per il proprio futuro, quindi non aveva seguito l’esempio dei suoi coetanei che si erano iscritti uno dopo l’altro all’università, chi a Yokohama e Tokyo e chi in altre parti del Giappone.

Aveva preferito aspettare, piuttosto che imbarcarsi in quattro anni di un corso che non gli interessava solo per non rimanere indietro – e far contenti i suoi genitori, perché loro non avevano detto nulla riguardo alle sue scelte, ma sotto sotto Chuuya sapeva che non ne erano entusiasti, lo capiva dalle occhiate di suo padre ogni volta che passava a casa e dai sospiri di sua madre al telefono quelle poche volte che chiamava per sapere come stava.

Era passato così da un part-time all’altro tenendosi impegnato fino ai suoi 22 anni, quando aveva deciso di riprendere un suo – se non l’unico – hobby dei tempi del liceo: la pittura. Aveva iniziato su consiglio dell’infermiera della scuola, dopo il quarto svenimento a metà del suo primo anno. Era una donna giovane, sui 35 anni, che Chuuya ricordava ancora con un certo affetto.

Lei era stata una dei pochi a vedere l’ombra del suo tormento interiore. E anche se aveva capito che non era qualcosa su cui Chuuya potesse o volesse confidarsi, aveva cercato comunque di aiutarlo rispettando questa sua posizione e nel limite delle proprie possibilità. Se non c’era nessuno con cui potersi aprire, gli aveva consigliato di ripiegare sull’arte, come la fotografia o la pittura. Poteva essere un modo per dare forma a quell’inquietudine che a parole non sarebbe mai riuscito a spiegare. E in effetti si era rivelata di un certo aiuto. Non aveva risolto tutti i suoi problemi, ma il macigno che aveva sull’anima si era fatto, a ogni pennellata, un pelino più leggero.

Con Ango non scese nei particolari, limitandosi ad andare per grandi linee, e gli disse infine che si era deciso a tornare su quella strada. Non era ancora sicuro di cosa avrebbe fatto dopo, ma intanto era un modo per non rimanere con le mani in mano e continuare qualcosa che gli piaceva fare.

Ango rimase ad ascoltarlo paziente e senza ombra di giudizio alcuno.

Alla fine della sua parentesi, con la voglia di cambiare prima possibile il soggetto del discorso, Chuuya chiese lo stesso dell’altro e Ango ammise, senza reticenza alcuna, di essere un semplice impiegato statale, archivista per conto di un ente pubblico. Lavoro tranquillo e stipendio nella media, che non era forse la massima aspirazione di vita di tutti i giovani d’oggi ma per Ango era la soluzione in fin dei conti ideale. Era una mansione che decisamente non portava con sé lo stesso ammontare di stress di un impiegato del governo che lavorava per la salvaguardia di una città piena di persone dotate di poteri. Poteva finalmente godersi del meritato riposo – la vacanza che gli era stata promessa, lunga ora una vita intera.

Chuuya annuì, comprensivo e felice di sentirlo.

Quando si esaurì il normale filo di domande che sorgono spontanee quando si rivede qualcuno, Ango iniziò a spostare il peso del corpo da una gamba all’altra, bevve un generoso sorso di tè e si sistemò un paio di volte gli occhiali sul naso, con un lieve nervosismo di fondo che agli occhi di Chuuya non passò inosservato. Stava prendendo tempo per qualcosa che non sapeva evidentemente come tirare fuori.

E chissà perché Chuuya si era già fatto una vaga idea di cosa si trattasse. Lo sapeva pure il mal di testa che cominciava in via preventiva a torturarlo.

«Dazai-kun mi ha detto…» iniziò quando sembrò aver trovato la forza per farlo «Che vi siete rivisti alla stazione la settimana scorsa»

E infatti.

La notizia non lo sorprese affatto. Non era difficile farsi due conti e arrivarci che quell’idiota gli aveva parlato del loro incontro. Chuuya si stava solo chiedendo quanto tempo sarebbe passato prima che Ango giudicasse saggio nominarlo.

«Già» si limitò a confermare, ingoiando qualsiasi aggiunta sarcastica avrebbe potuto uscire dalla sua bocca. Quell’episodio se l’era lasciato alle spalle, quindi non doveva aver altro da dire a riguardo. Solo un ghigno scettico gli salì alle labbra, ma lo nascose prontamente dietro la propria tazza.

«È stato giusto lo stronzo a dirmi che anche tu avevi recuperato i ricordi» 

Forse l’unica informazione buona che aveva ottenuto da quel disastro, si annotò mentalmente prima di prendersi un altro sorso di cappuccino.

Ango annuì, confermando di essere al corrente della cosa «Lo stesso vale per me, mi son permesso di parlarti proprio perché sapevo che ricordavi»

E anche questo Chuuya lo aveva immaginato.

Era una regola che valeva per chiunque avesse un minimo dei vecchi ricordi, quella di fingere sempre che le persone che avevano conosciuto nella vita passata ora fossero estranei. Perché era esattamente così che Chuuya o chi come lui appariva ai loro occhi. I ricordi definivano la propria connessione con gli altri; se questi venivano meno, svaniva anche quella connessione e qualsiasi tipo di rapporto. Per cui, per quanto a volte potesse fare male, non restava altra scelta che continuare per la propria strada fingendo di non conoscere nessuno o, nella migliore delle occasioni, ricostruire tutto partendo da zero.

Se Ango gli aveva rivolto la parola con tanta sicurezza, era ovvio che sapesse ed era altrettanto ovvio fosse stato Dazai a dirglielo.

«Mi ha anche detto che non è stato un processo piacevole per te. Mi dispiace molto» gli offrì in aggiunta con sincerità.

Chuuya fece di sì con la testa, ma non elaborò oltre. Questa volta non era particolarmente in vena di parlarne. Ad Ango sarebbe bastato e avanzato quella punta di iceberg che aveva condiviso con Dazai qualche giorno prima.

Ango lo osservò per qualche minuto, mentre Chuuya era perso con lo sguardo altrove. Rimise a posto la tazza del tè nel suo piattino e lo ruotò con pollice e medio di qualche grado mentre era sovrappensiero, intento a rimuginare su qualcosa – o meglio, cercare le parole giuste per continuare un discorso che al suo interlocutore non faceva particolare piacere.

Chuuya lo sentì sospirare piano e gli venne quasi di fare altrettanto.

«Sai, Chuuya-kun, sono sicuro che sia stato inaspettato per entrambi, rivedervi così dopo tanto tempo. Forse potrà sembrarti strano, ma… era da tanto che Dazai-kun sperava di trovarti»

Quello fece scattare Chuuya come una molla sotto un improvviso impeto di rabbia. Si era ripromesso di rimanere impassibile e di lasciarsi scivolare addosso qualsiasi cosa Ango avesse tirato fuori su Dazai. Ma non poteva tenere la bocca chiusa davanti a quella che era palesemente una stronzata.

«Senti, queste cazzate può venirle a raccontare a te. Da come mi parlava non mi è sembrato proprio per un cazzo» sbottò ancor prima di valutare se fermarsi o meno.

Dazai che aveva sperato a lungo di trovarlo? Oh, lì sì che c’era da sbellicarsi dalle risate. In stazione aveva messo tra di loro tutta la distanza che fosse umanamente possibile creare con le parole, lasciando intendere molto bene che con Chuuya non voleva averci a che fare più di tanto. E Chuuya poteva non essere un genio, ma non era mica un cazzo di sprovveduto che non si accorgeva di una cosa del genere.

Dazai non si era interessato di nulla che lo riguardasse e a malapena aveva portato avanti una conversazione che lui stesso aveva iniziato. Non era manco lontanamente l’atteggiamento di qualcuno che “sperava tanto di rivederlo”.

La cosa però non sembrò sorprendere Ango. Al contrario, quanto detto da Chuuya confermò ciò che già sospettava, dal modo in cui si sgonfiò con un sospiro esasperato.

«Posso immaginarlo bene» si mostrò d’accordo con lui, mentre si massaggiava la fronte con le dita.

Sembrava stranamente stressato da quella situazione, come se non fosse la prima volta che gli toccasse discutere di quella faccenda.

«Lui… la verità è che si sente ancora in colpa»

Poco ci mancò che Chuuya esplodesse davvero a ridere di gusto.

«In nessun universo Dazai e senso di colpa stanno insieme nella stessa cazzo di frase, quattrocchi»

«Eppure lo è davvero»

L’insistenza di Ango, come se ci credesse davvero alle sue stesse parole, aveva quasi del tenero. Dazai poteva essersi ammorbidito nell’animo, ma si parlava di reincarnazione, non di un miracolo. Il senso di colpa era un concetto che rimaneva estraneo a un Dazai Osamu che conservava le memorie della sua vita precedente.

«Si sente in colpa per…» continuò nel frattempo Ango prima di fermarsi a deglutire, con l’espressione interdetta di chi si muoveva su un argomento apparentemente delicato e non voleva premere il tasto sbagliato.

Inspirò a fondo, quando trovò infine quello che in apparenza ritenne il modo più consono in cui mettere la questione.

«…per non aver risposto alla tua chiamata»

Quell’ultimo pezzo di frase gli uscì davvero a fatica e d’un tratto sembrava lui quello che si sentiva terribilmente in colpa anche solo per aver accennato alla cosa. Strinse una mano sul bordo del bancone e, con le labbra serrate, non riusciva a incrociare lo sguardo di Chuuya.

Chuuya, da parte sua, inarcò un sopracciglio.

«La mia chiamata?» fece un attimo mente locale, ma nemmeno rammentava quando fosse stata l’ultima volta in vita sua che aveva chiamato Dazai «Dovrai essere un po’ più specifico di così, quattrocchi. Chi cazzo si ricorda tutte le volte che avrò chiamato quel coglione mentre ero ubriaco»

Non erano stati i suoi momenti migliori né qualcosa di cui andava particolarmente fiero, ma era inutile negare che qualche volta non fosse successo. In ogni caso, era davvero un motivo del cazzo per sentirsi in colpa. Dio solo sapeva se ci fosse una singola cosa riguardo a Dazai che avesse un minimo di senso, anche in una sola delle loro vite.

Ango, per tutta risposta, lo guardò stralunato.

«Come, prego?»

«…cosa?»

A Chuuya fu evidente che in un attimo lui e Ango non erano più allo stesso filo del discorso. Non colse bene in che punto si fossero persi e Ango sembrava perplesso quanto lui, la fronte contratta in un fascio di rughe confuse mentre ci rimuginava sopra.

Poi almeno lui parve finalmente capire, dal modo in cui sbarrò gli occhi subito dopo. E Chuuya non aveva mai visto un attanagliante senso di terrore farsi strada così velocemente sul volto di qualcuno. Persino ai tempi della Port Mafia aveva raramente trovato nemici che erano sbiancati di colpo come aveva appena fatto Ango.

«Oi, che diavolo ti prend—»

«Chuuya-kun»

Ango lo bloccò sul nascere con una certa urgenza nella voce. Il suo nome, in quel momento, suonò tanto come un monito, un avvertimento.

(Qualcosa gli diceva che non gli sarebbe piaciuto cosa l’altro gli stava per chiedere.)

«Tu… ricordi il modo in cui sei morto?»

Un brivido gli corse lungo la schiena e un formicolio si insidiò nelle arti e nelle mani, che si ritrovò tremanti. Una nausea vertiginosa lo investì come una mareggiata, portando con sé una tachicardia crescente e un senso di debolezza improvviso, come quando la pressione colava a picco di colpo.

Era di nuovo quella sensazione di malessere, la stessa del liceo e dell’altro giorno in stazione.

«Di cosa cazzo stai parlando, quattrocchi?» ringhiò, mentre respirare diventava via via più faticoso.

Se possibile, Ango si fece ancora più bianco. Si resse con un gomito al bancone prima di sfilarsi gli occhiali e passarsi nervosamente una mano sul volto che sembrò invecchiato di dieci anni in pochi attimi.

«Forse è meglio se ti siedi—»

«Non mi siedo proprio per un cazzo, vedi di spiegarti prima che ti prenda a calci in culo»

«Chuuya-kun, ti prego—»

«Guarda che sono fottutamente serio»

«Lo sono anche io!»

Ango lo superò con la voce, tenendosi comunque entro una soglia di volume che permettesse loro di non attirare troppa attenzione nella caffetteria. Chuuya si ritrovò costretto a cedere terreno contro quella fermezza di cui Ango, nella loro vita passata, raramente aveva mai fatto sfoggio. Ma non si mise a sedere comunque – almeno su quello rimase irremovibile, erano gentili accortezze che l’altro poteva riservare a chiunque che non fosse lui.

Davanti al suo essere così ostinato, fu il turno di Ango di retrocedere e fare concessioni. Diede due colpi di tosse per schiarirsi la voce e deglutì con evidente disagio, l’espressione di chi sentiva il peso delle notizie che stava per riportare. C’era sofferenza nel modo in cui si rabbuiò in volto, indice di quanto fosse genuinamente e profondamente addolorato.

«Chuuya-kun, tu…» proferì in un sussurro quando finalmente si sentì in grado di farlo, un’immensa tristezza a colorarne le parole «Sei morto dopo aver usato Corruzione»

Chuuya sentì la gola chiudersi del tutto. Qualcosa iniziò a scivolargli dentro la testa, un’oscurità lenta ma inesorabile scandita dal martellare dei suoi battiti cardiaci e dai flash di immagini che sfrecciavano davanti ai suoi occhi, mentre questi non mettevano più a fuoco.

«Hai provato a chiamare Dazai, forse per avvertirlo o chiedergli di venire, ma lui non ha risposto. E alla fine hai attivato il tuo potere comunque»

Il bip della segreteria telefonica.

Una chiamata senza risposta.

Le parole di Ango iniziarono ad arrivargli ovattate alle orecchie e lo sguardo prese a vagare nel vuoto senza che vedesse realmente nulla. Respirava a malapena.

La chiamata che aveva fatto a Dazai e a cui lui, come aveva immaginato, non aveva risposto.

«Quando ti ha raggiunto era già troppo tardi, non è… arrivato in tempo. E hai… distrutto quasi un terzo della città prima che riuscisse a fermarti»

Chuuya perse la presa che aveva per reggersi al bancone e spinse senza volerlo la tazza del suo cappuccino, facendola rotolare oltre il bordo. Quando questa si frantumò in mille pezzi, l’oscurità lo stava già inghiottendo e si sentiva mancare per le vertigini.

Crollò a terra privo di sensi, annegando nel tetro e soffocante abbraccio del suo passato.

Chuuya si trascinava a forza reggendosi a tratti al muro, diminuendo ogni volta che poteva la gravità attorno a sé per alleggerirsi il corpo, prima di abbandonarsi dietro il pilastro che aveva appena valutato essere il miglior riparo a disposizione in mezzo a quelle macerie.

Mentre annaspava a bocca aperta, avido d’aria e martoriato da ferite, continuò a tamponare il taglio profondo che aveva al fianco e che non smetteva di sanguinare, masticando una bestemmia dopo l’altra per quanto bruciasse. E quando anche le gambe sembrarono sul punto di cedergli, lasciò scivolare la schiena contro il muro cadendo a sedere sul pavimento. Si sentiva stremato. La vista a tratti si offuscava, con tutto il sangue che aveva perso strada facendo, ma si impose di rimanere lucido.

Niente di tutto quello faceva parte del piano. Non era nei piani che ci fossero quattro portatori di abilità, invece che uno solo come segnalato nel rapporto. Non era nei piani che tre di queste fossero abilità difficili da contrastare con la sua gravità.

E soprattutto, non era nei piani che quegli idioti mandassero a combattere pure mocciosi che non avessero pieno controllo dei propri poteri.

Avrebbe dovuto essere una questione relativamente veloce. Rimettere in riga un’organizzazione dei bassifondi che aveva pestato i piedi alla Mafia intralciandone gli affari. Un’operazione praticamente di routine. Chuuya era stato assegnato alla missione giusto in via precauzionale, avrebbe solo dovuto garantire che la cosa filasse liscia come l’olio senza che dessero troppo nell’occhio.

Invece erano finiti in un cazzo di campo minato. Perché il rapporto aveva cannato tutto alla grande – e questo non succedeva mai sotto la sua supervisione – e in più l’organizzazione non si era fatta trovare impreparata. Sapevano del loro arrivo.

E tutto era andato ancora più a puttane nel momento in cui, a metà dello scontro, uno dei loro portatori di abilità aveva perso il controllo della propria.

Le pareti del palazzo tremarono e l’intera struttura scricchiolò sotto la spinta di una forza invisibile a occhio nudo. Anche quella parte dello stabile iniziava a piegarsi e a sfaldarsi, così com’era successo a quella più vicino all’epicentro.

Chuuya cercò di fare mente locale più veloce che poté. Circa quaranta dei suoi uomini erano morti e una decina di quelli ancora in piedi, insieme a un Hirotsu privo di sensi e Gin, erano bloccati al terzo piano interrato. Gli altri erano sparsi in vari punti dell’edificio, mentre le due squadre di supporto, rimaste in standby in attesa di ordini, erano già state messe in allerta e stavano arrivando.

Ma non sarebbero state di nessun aiuto.

Il ragazzo fuori controllo aveva un’abilità a doppio raggio: poteva attrarre e respingere qualsiasi cosa attorno a sé, come un magnete che non si limitava ai metalli. Era simile per certi versi all’abilità di Hirotsu, ma non aveva bisogno di contatto fisico e funzionava anche nel senso opposto. Attraeva ciò che gli interessava e rimandava indietro tutto il resto.

Era una forza attrattiva che adesso, senza alcun controllo, sembrava generarsi all’infinito, attirando indistintamente ogni cosa e crescendo in potenza ogni minuto che passava. E nessuno poteva avvicinarsi, perché raggiunta una certa distanza dal centro esatto si attivava la forza respingente. Il ragazzo attirava a sé tutto l’ambiente circostante e respingeva le cose quando queste si facevano pericolosamente vicine, auto-proteggendosi in maniera inconscia dal collasso che senza volerlo stava causando.

Una situazione veramente di merda.

E quelli erano gli unici dati che Chuuya era riuscito a racimolare mentre combatteva. Non sapeva dire quale fosse il massimo raggio d’azione dell’abilità, se ci fossero eccezioni a quello che poteva attirare o no, qualsiasi brandello di informazione che potesse essere d’aiuto.

Ciò che sapeva per certo era che, di quel passo, il palazzo si sarebbe accartocciato su se stesso nei tre minuti successivi. Poi, se l’effetto si fosse propagato, sarebbe toccato a tutto il quartiere e ai tre adiacenti. Nella peggiore delle ipotesi, avrebbe potuto inglobare persino l’intera zona sud di Yokohama.

Un possibile e completo disastro. E fu incredibilmente frustrante come Chuuya si ritrovò a essere a corto di opzioni per risolverlo.

«Merda!» urlò a denti stretti, sbattendo la nuca contro il muro, mentre tutto intorno a lui continuava a intermittenza a tremare.

Non sapeva come uscirne. Avrebbe potuto far evacuare chi era all’esterno del palazzo e le squadre di supporto, e anche gli agenti sparsi all’interno forse sarebbero riusciti a uscire. Ma non aveva modo di raggiungere Hirotsu, Gin e gli altri suoi uomini nell’area interrata e portarli fuori passando attraverso il campo di forza. Non c’era tempo neanche per provare a creare un passaggio sicuro.

Imprecò un’altra volta. Non era nei fottutissimi piani tutto quello.

Tuttavia, per Chuuya non era un’opzione a priori nemmeno abbandonarli lì a morire.

Prese un lungo e profondo respiro.

Ormai ci rimane soltanto una cosa, fece eco ai suoi pensieri una fastidiosa voce nella sua mente che avrebbe preferito non sentire in un momento come quello.

Arahabaki avrebbe potuto far guadagnare loro tempo. Si muoveva più lentamente della spinta attrattiva che si propagava a macchia d’olio e con la densità che raggiungeva il suo corpo quando usava Corruzione avrebbe bypassato anche qualsiasi forza respingente, o lo avrebbe fatto una delle sue sfere a gravitoni. Sarebbe riuscito a fermare quel maledetto ragazzo.

Significava scambiare una distruzione con un’altra – un patto con un diavolo per scacciarne un altro – ma tra le due Corruzione era quella che conoscevano meglio e potevano sperare di aggirare. E si sarebbe poi fermata da sola una volta che Chuuya fosse arrivato al limite e fosse morto schiacciato dal suo stesso potere.

Già, perché non c’era nessuno questa volta che avrebbe potuto fermarlo.

Chuuya fece uscire l’aria accumulata nei polmoni.

Ripescò dalla tasca interna del suo gilet il cellulare. Aveva lo schermo pieno di crepe, di certo per uno dei tanti colpi che aveva ricevuto quella sera, ma sembrava funzionare ancora quando premette il tasto per accendere il display.

Fece scorrere il pollice sulla lista dei contatti finché non raggiunse quello che stava cercando.

Sgombro”.

Era sicuro che Dazai non avrebbe risposto. Non erano più partner, lui non era più membro della Port Mafia e non c’era più alcun tipo di obbligo tra loro – non che prima ce ne fosse mai stato realmente uno. La sua vita ora era all’Agenzia e con Chuuya non aveva più nulla a che spartire. E anche ammesso che avesse miracolosamente risposto, con ogni probabilità non sarebbe nemmeno arrivato in tempo.

Era una chiamata che non sarebbe servita praticamente a nulla.

Eppure Chuuya indugiò comunque sul contatto di Dazai. C’era una piccola parte di lui che in fondo ci sperava. Se sperasse in una risposta o in una soluzione a quel disastro imminente, non ne era sicuro. Sperava forse per una volta di essere smentito, sperava in una qualsiasi cosa da parte di quel coglione in cui, nonostante tutto, Chuuya da bravo idiota continuava ancora a riporre la propria fiducia.

Con la bocca terribilmente asciutta, premette il tasto di chiamata e appoggiò il telefono contro l’orecchio libero. Chiuse gli occhi.

Il bip del primo squillo.

Il secondo.

Non avrebbe risposto di certo.

(Ma chissà, magari per una volta si sbagliava e lo avrebbe fatto davvero.)

Terzo squillo.

Quarto.

Non arriverebbe in tempo comunque, si ripeté ancora, ma Chuuya avrebbe in ogni caso potuto avvisarlo. O Dazai avrebbe anche potuto trovare una soluzione alternativa che lui non era riuscito a vedere.

Bip.

Dio, se quell’idiota fosse stato ancora lì, avrebbero spedito direttamente lui ad annullare l’abilità del ragazzino.

Bip.

Dopo il settimo e poi l’ottavo squillo, Chuuya sentì lo scatto della chiamata che passava alla segreteria e la voce registrata che lo avvisava come, sfortunatamente, la persona che stava cercando di contattare non era raggiungibile o non poteva prendere il telefono.

Chuuya lasciò cadere il braccio a terra e chiuse la chiamata, senza ascoltare il resto di una trafila che già conosceva a memoria.

Rise di se stesso con lieve amarezza. Lo sapeva. Lo sapeva che non avrebbe risposto, ma ci aveva provato lo stesso. Ci aveva provato perché un pochino aveva voluto crederci, perché era ancora aggrappato a qualcosa che non c’era più – o che in realtà non c’era mai stato. Ma non provò vera delusione, men che meno rabbia. Semplicemente sospirò con un sorriso rassegnato e malinconico.

Va bene anche così.

Chuuya prese un altro respiro, quando vide crepe profonde serpeggiare minacciosamente nel pavimento. Il tempo a sua disposizione ora era davvero scaduto.

Gettò via il suo telefono mentre si rimetteva a fatica in piedi e, riattivando l’auricolare, iniziava a dare istruzioni di evacuare a chi dei suoi uomini ne avesse la possibilità. Ordinò a Gin di spostare Hirotsu e mettersi insieme agli altri il più a riparo possibile nel piano interrato in cui erano. Con ogni probabilità, erano più al sicuro da Arahabaki lì sotto che non in superficie.

Diede disposizioni affinché le squadre di supporto si dividessero, una parte ad aiutare con l’evacuazione dell’edificio e l’altra a fare lo stesso con la zona residenziale più vicina. Conciato per com’era non aveva idea quanto a lungo sarebbe durata la furia della sua Corruzione prima che arrivasse al limite, ma se era nelle sue possibilità, avrebbe preso tutte le precauzioni necessarie – nonostante il poco tempo che avevano – per evitare vittime civili.

Chiese che il boss fosse messo al corrente della situazione una volta che Chuuya avesse chiuso tutte le comunicazioni.

E fu infine tassativo col suo ultimo ordine da Dirigente: che nessuno fosse tornato indietro per alcun motivo.

Poté sentire a un certo punto la voce rauca e provata di Hirotsu, che aveva forse appena ripreso conoscenza. Lo sentì chiedergli con un’agitazione smorzata dalla fatica che cosa avesse intenzione di fare, sebbene – Chuuya ne era sicuro – si fosse già fatto un’idea.

Chuuya chiuse la chiamata senza rispondergli, un altro sorriso malinconico ad arricciargli le labbra in una scusa offerta in silenzio, mentre frantumava l’auricolare in mano con la forza di gravità.

Inspirò ed espirò di nuovo, prendendo a camminare a passi lenti. Non c’era nessuno a fermarlo, quindi quella era l’ultima volta che rimaneva lucido – che rimaneva vivo. Kouyou sarebbe andata su tutte le furie, e il boss non ne sarebbe stato troppo contento.

Verlaine tra tutti non sarebbe stato affatto contento.

Ma Chuuya si disse, ancora e ancora, che andava bene così. Se poteva dare tempo ai suoi uomini, se poteva sperare così di salvare Hirotsu e Gin, allora ne valeva la pena.

Si tolse un guanto, poi l’altro. Arrivò al bordo della voragine al quarto piano che si sgretolava man mano che la forza attrattiva arrivava fino a lì, e si lasciò cadere nel vuoto per tornare al piano terra.

Oh voi, concessione di una corruzione tetra, non dovete svegliarmi mai più.

Quando Chuuya riprese conoscenza, era ancora sdraiato sul pavimento della caffetteria.

Nella confusione che girava nella sua testa e con la vista offuscata, riuscì a distinguere diverse persone radunate attorno a lui, mentre Ango gli era inginocchiato accanto. Parlava concitato, bianco in volto ancor più di prima, con qualcuno al telefono.

Chuuya sentiva il pressante bisogno di vomitare. Ma più di tutto aveva bisogno di andare via da lì.

In quel momento qualcuno si accorse che aveva ripreso i sensi.

«Ah, si è svegliato!»

Ango si girò verso di lui e un profondo sollievo gli rilassò il viso. Altrettanto sollievo fece sospirare tutti nella caffetteria.

«Chuuya-kun, come ti senti?» gli chiese mentre spostava il telefono all’altro orecchio e gli controllava il polso «La proprietaria del café ha chiamato l’ambulanza, ormai sarà qui a momenti» 

Il suo battito cardiaco era alle stelle e l’altro lo notò di certo. Poteva scommetterci che aveva anche una cera orribile ma Chuuya non avrebbe comunque aspettato nessuna ambulanza. Sì aggrappò al braccio di Ango per mettersi a sedere.

Ango cercò allarmato di fermarlo «Non dovresti alzarti così presto, è meglio se rimani disteso ancora un po’»

Ma Chuuya non ascoltò una parola. Si mise in piedi barcollante, con la testa che gli girava e gli doleva come non faceva da tempo.

Doveva andarsene da lì.

«Chuuya-kun…?» lo chiamò la flebile voce di Ango, un attimo prima che Chuuya corresse via facendosi largo tra i clienti del café.

Versi di stupore e sgomento lo seguirono quando si aprì la strada oltre la cerchia che si era radunata al bancone quando era svenuto.

«Chuuya-kun!!» sentì di nuovo Ango urlare dietro di lui, ma Chuuya era già oltre la porta.

Corse a perdifiato più veloce che la sua nausea e le vertigini gli permettevano. E si imbucò nel primo vicolo che trovò a portata di mano cosicché, quando Ango sarebbe corso fuori dalla caffetteria, non lo avrebbe visto da nessuna parte in strada.

E così fu. Chuuya svanì dalla sua vista, prima ancora che Ango avesse la possibilità di corrergli ulteriormente dietro.

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