[Bungou Stray Dogs] running out of time to tell you (running out of things that i regret)

Titolo: running out of time to tell you (running out of things that i regret)
Fandom: Bungou Stray Dogs
Personaggi: Dazai Osamu/Nakahara Chuuya
Rating: SAFE
Prompt: e alla fine, niente lieto fine [COW-T 12 – week 5, m2]
Wordcount: 3872
Avvertimenti: Major Character Death, Angst, Hurt/Comfort
Riassunto: in aggiornamento!

Dazai si aggrappò per supporto alla rete della recinzione mentre si spingeva a continuare a correre. Con un braccio reggeva Chuuya per la vita mentre quello del suo ex partner lo teneva intorno alle spalle, in un disordinato tentativo di aiutarlo a camminare quando lui non riusciva più a stare nemmeno in piedi e loro dovevano tagliare la corda più in fretta che potevano.

Seguì il perimetro del cantiere a larghe falcate e, ignorando palesemente il cartello che vietava l’ingresso ai non autorizzati – perché aveva fretta e perché non ci sarebbe stato comunque nessuno ad ammonirli – scivolò oltre la recinzione, entrando per l’unico punto in cui il lato del cancello piegato regalava generosamente spazio a sufficienza per poter passare in due. Svelto si trascinò insieme Chuuya dentro lo stabile abbandonato, che al posto del portone aveva solo qualche striscia di nastro segnaletico sbiadito e che sarebbe stato demolito di lì a tre giorni, offrendo loro in quel momento il posto perfetto per rifugiarsi.

Forse erano ancora troppo vicini. E forse è un’opzione troppo ovvia, quella di nascondersi nel vecchio e fatiscente condominio abbandonato del quartiere, gli venne da pensare a un certo punto mentre imboccava le scale interne, ma se la sarebbero fatta andare bene, perché era la migliore – per non dire l’unica – opzione che avevano alla mano.

In assenza di finestre si muovevano in una parziale oscurità, illuminata a intervalli regolari da led che restituivano uno sfarfallio fioco, luci di emergenza che miracolosamente funzionavano ancora ma che non erano pensate per durare tanto a lungo senza ricarica.

Dazai macinò in fretta gli scalini delle prime due rampe, per poi rallentare il passo per la fatica e il peso di Chuuya che aveva ormai interamente a carico. Perché il suo ex partner era ancora mezzo cosciente ma, grondante ormai di sangue, sarebbe crollato a terra nel momento esatto in cui avesse smesso di sorreggerlo.

Fino al secondo piano trovarono sulla loro strada gli ingressi ai locali sbarrati, con travi di legno inchiodate malamente al muro o vecchia mobilia ammucchiata, ma Dazai non valutò nemmeno di provare a spostarli, mentre stringeva i denti e cercava di riprendere un andamento più sostenuto per accelerare. Erano ancora troppo in basso. Per essere sicuri dovevano raggiungere almeno il quarto o quinto piano.

Il suono di passi affrettati e il suo pesante respiro affannato riecheggiavano per l’intera tromba delle scale, di cui neanche affacciandosi oltre la ringhiera – che a tratti c’era e a tratti no – si poteva vedere la cima.

Quando ritenne che fossero saliti abbastanza, Dazai iniziò a forzare le porte che gli si presentavano davanti, perché salire era necessario ma non sufficiente – alla fine dovevano nascondersi in un qualsiasi buco di un piano deserto, o rimanevano in pratica completamente scoperti. Ci provò con una di metallo, tutta arrugginita, scardinata e piegata in avanti per metà, ma non importò quanta forza ci mise, questa non cedette di un millimetro. Era bloccata, così come lo era quella di fronte che portava al blocco ovest di appartamenti.

Dazai ingoiò un’imprecazione e, tirando su meglio Chuuya che man mano stava scivolando via dalla sua presa, proseguì ancora nell’unica direzione che avevano a disposizione.

Superarono altri due piani e finalmente iniziarono a trovare gli ingressi liberi, alcuni addirittura privi del tutto delle porte. Quei piani, nonostante fossero più in alto nella struttura, sembravano essere stati sgomberati per primi e parte dei muri interni erano crollati da sé o erano stati preventivamente abbattuti, forse da alcuni degli ultimi inquilini che li avevano abitati. Rimanevano, sgangherati, lo scheletro dell’edificio e qualche parere che divideva i vari ex appartamenti, con cemento, teloni e detriti ovunque.

Dazai valutò di nuovo se salire ancora – più in alto andavano, più tempo riuscivano a guadagnare, e a quel punto sarebbero anche potuti arrivare al tetto – ma appena raggiunsero il pianerottolo Chuuya gli strinse la spalla con una mano per allontanarlo. Emise un verso gutturale, prima di piegarsi su se stesso e vomitare sangue.

Dazai lo resse per il busto come meglio poté, mentre Chuuya rigurgitò una boccata di rosso e poi un’altra. Ogni respiro che il suo ex partner cercava di prendere era una lama affilata che gli raschiava la gola, il suono dell’aria che non aveva un passaggio sufficientemente libero per raggiungere i polmoni.

Dazai avvertì un sudore freddo e una stretta alla bocca dello stomaco. Per Chuuya, anche solo respirare si era tramutato in uno sforzo immenso. Era arrivato allo stremo totale, e in quelle condizioni non avrebbe superato più nemmeno un gradino.

Decise quindi di troncare lì la loro salita e trovare in quel piano un posto dove nascondersi, qualunque fosse quello a cui erano arrivati. Portò con sé Chuuya oltre la soglia del locale interno che conduceva a quello che una volta era il corridoio, facendo attenzione a non passare con i piedi sopra la pozza di sangue che era già da sé una traccia pericolosamente evidente del loro passaggio.

I detriti di calcestruzzo e vetro scricchiolarono sotto le suole delle loro scarpe, rumore che in quel silenzio gli sembrò squarciare la notte. Ma non avevano il tempo di muoversi adagio e con attenzione, né ce n’era ancora realmente bisogno. Dazai seguì il corridoio con una decisione rallentata dalla fatica, sotto la luce fredda del led di emergenza fissato al muro portante in fondo, più grande di quelli che avevano illuminato, anche se di poco, la strada lungo le scale.

Scelse un appartamento a metà del piano, né troppo vicino all’ingresso per le scale ma neanche troppo lontano – cosicché, nel peggiore degli scenari in cui fossero stati trovati, avrebbero potuto ritornare sui propri passi imboccando quella che ora era diventata la loro principale via di fuga.

Trascinò Chuuya nella vecchia abitazione, ormai svuotata di ogni mobile e decorazione. Lo portò in una delle stanze che, ad un rapido calcolo, era nascosta alla visuale dall’ingresso, ma che gli rimaneva comunque abbastanza vicina. Seguì lo stesso processo di scelta che aveva applicato mentre era in corridoio – dovevano rimanere sufficientemente nascosti, senza troncarsi a priori eventuali vie per scappare.

Si assicurò che fossero fuori portata anche da eventuali finestre – o quel che ne restava – dopo di che si accovacciò lentamente guidando Chuuya a sedersi con la schiena contro il muro, e si lasciò poi cadere accanto a lui. Un’onda di stanchezza gli rese il corpo pesante quanto un masso. La ferita alla testa tornò a pulsare e i polmoni, la gola e il petto bruciavano come fuoco vivo, mentre annaspava a bocca aperta per riprendere fiato. 

In confronto al suo, il respiro di Chuuya non era che un sottile filo d’aria.

Dazai lo sentì mugugnare accanto a sé e vide la testa di Chuuya pendere in avanti, prima che questi iniziasse a scivolare lentamente verso il pavimento. Dazai lo acchiappò con un braccio intorno al busto prima che potesse arrivare a terra. Riportò Chuuya dritto con la schiena al muro e poi lo avvicinò con delicatezza verso di sé, permettendogli di appoggiare il capo sulla sua spalla.

Con le dita gli spostò via dagli occhi chiusi un ciuffo rimasto appiccicato per il sangue, scendendo poi all’angolo della mandibola per controllargli il polso. C’era ancora battito ma era terribilmente flebile come il suo respiro.

Dazai serrò i denti.

Non sapeva dire quanto sangue avesse perso Chuuya.

Dazai stesso era ridotto a brandelli. L’adrenalina che lo aveva pompato e fatto arrivare fino a lì stava scemando e il dolore per le ferite lo stava investendo come un treno in corsa. L’avambraccio destro e la coscia scorticati erano improvvisamente difficili da ignorare, ed era quasi sicuro di avere una o due costole incrinate, da come gli doleva la cassa toracica quando prendeva respiri profondi. Sentiva sangue colargli lungo la faccia dalla fronte.

Ma Corruzione aveva martoriato il corpo di Chuuya per qualche minuto in più oltre il loro limite di sicurezza. Le sue ferite erano di tutt’altro tipo rispetto a quelle che aveva Dazai.

Il detective guardò cupo in viso la sagoma di sangue che Chuuya aveva lasciato sul muro dietro di lui. E cercò di fingere, con la stessa amara afflizione che lo faceva deglutire a fatica, che non si stesse lentamente creando una pozza ai piedi del suo ex partner.

Cercò di convincersi meglio che poté che Chuuya non fosse a un passo dalle braccia della morte.

Dazai inspirò ed espirò grave. Si erano spinti troppo oltre questa volta. Era rimasto tutto sotto controllo fino a quando non lo era stato più. Forse avevano sottostimato la forza del nemico, forse avevano scelto la strategia sbagliata. Ma quella missione congiunta non era andata come avevano previsto.

Un errore di calcolo che si erano resi conto troppo tardi di aver fatto e per cui ora ne stavano pagando il prezzo salato.

Errore di calcolo, pensò con la bocca secca, ancora aperta in cerca famelica d’aria.

Dazai Osamu non commetteva mai errori. Era di tre mosse avanti ad anticipare quelle degli altri e le sue previsioni erano sempre corrette, o poteva assestare il tiro in corso d’opera se si presentavano imprevisti, ottenendo comunque alla fine il risultato desiderato.

Eppure qualcosa era andato storto lo stesso. Non avevano visto il quadro più grande e, quando se n’era accorto, la situazione gli era già scivolata via dalle mani. E ora non sapeva come salvare il suo ex partner. Non si erano buttati nella missione preventivando l’uso di Corruzione – era solo il piano d’emergenza standard quando si presentava qualcosa fuori dalla loro portata ordinaria o tutto andava a rotoli troppo velocemente per trovare qualcosa di altrettanto efficace.

Prese il cellulare e controllò nervosamente l’orario. Aveva inviato la loro posizione a Kunikida a un certo punto mentre correva su per le scale del palazzo. Lui, Yosano e Tanizaki li avrebbero raggiunti in meno di una decina di minuti, ma dal loro messaggio ne erano passati ancora solo quattro.

Ne rimanevano almeno altri cinque. Cinque, miseri minuti che in quel momento sembravano un’eternità, un tempo che non era sicuro Chuuya avesse.

La mente di Dazai lavorava a mille vagliando ipotesi e cercando una soluzione che gli facesse guadagnarne altro di tempo, che li facesse resistere per quei cinque maledetti interminabili minuti. Ma le conclusioni a cui giungeva erano le stesse una dopo l’altra e non gli piacevano, e con la testa che gli pulsava e doleva non riusciva nemmeno a pensare lucidamente come faceva di solito. Anche tenere gli occhi aperti, sotto il peso della fatica e del sangue che anche lui aveva perso, si stava facendo terribilmente difficile.

Ma almeno uno dei due doveva rimanere vigile e sveglio.

«Chuuya» chiamò l’altro con disperata tenacia e una voce che alle sue stesse orecchie suonò ancora più stremata «È ora di darci il cambio. Io ti ho trascinato fin qui mentre tu ti facevi un bel sonnellino, adesso tocca a te stare di guardia»

Chuuya borbottò qualcosa che somigliava più a un lamento e per un attimo Dazai temette che non avrebbe ottenuto altro dal suo ex partner. Un brivido gli scosse il corpo in un fremito. Non era per niente un buon segno, perché significava che Chuuya era messo anche peggio di quanto non avesse già stimato.

Ma alla fine l’altro mise miracolosamente insieme qualcosa di più articolato.

«Non fai mai un cazzo e ti lamenti per due minuti di fatica. Che rompicoglioni di merda che sei»

La voce di Chuuya era più vicina a un sussurro ed era quella di qualcuno che sembrava sul punto di addormentarsi: assonnata e già distante. Ma nonostante questo, Dazai sentì un lieve sollievo alleggerirgli il petto. Chuuya era ancora in grado di parlare.

«Dici così solo perché sei tu quello che non vuole fare nulla. Passi avanti per non rimanere indietro?»

«Ma stai zitto»

Chuuya gli si mosse accanto, cercando di sistemare la testa ancora appoggiata alla spalla di Dazai ma qualsiasi altra cosa avesse intenzione di fare dovette rinunciarvi presto. Era evidente come non avesse più la forza neanche di piegare un dito.

«Pensi che… ci troveranno?» parlò di nuovo dopo una manciata di secondi.

«Una minima possibilità c’è» ammise Dazai da parte sua, mentre ci rimuginava sopra «Siamo rimasti nelle vicinanze e un palazzo abbandonato è una scelta un po’ vistosa. Ma questo posto è abbastanza grande, anche se venissero qui dovrebbero setacciare a tappeto un sacco di piani. Servirebbe loro un immenso di colpo di fortuna per trovarci prima di Kunikida-kun e gli altri»

Chuuya sbuffò scettico «Già, perché la fortuna è stata finora dalla nostra parte, eh?»

A quello Dazai non aveva di che rispondere, perché Chuuya non aveva tutti i torni. La sfortuna era stata quella sera un’alleata sgradita e particolarmente tenace, ma volle sperare che almeno adesso la Dea bendata potesse favorirli anche solo per un po’ – o le loro misere chance di uscirne sarebbero calate praticamente a zero.

«Non significa comunque che puoi continuare a battere la fiacca» proseguì intanto imperterrito, cercando di mantenere viva la conversazione nella speranza di distrarre Chuuya e tenerlo sveglio.

E per il momento era una strategia che sembrava funzionare.

«Come se non avessi salvato io il culo a tutti e due prima»

«È inutile che svii il discorso, ti tocca rimanere sveglio~»

Il suo debole cantilenare gli fece guadagnare una manata allo sterno altrettanto debole, tanto che non gli fece male nonostante le costole incrinate. Ma ne apprezzò comunque il tentativo. Lo spirito di Chuuya, sotto gli strascichi della devastazione di Arahabaki, non si era ancora spento del tutto. Ne era sollevato.

«Se non conoscessi abbastanza quella faccia da schiaffi che ti ritrovi, quasi penserei che il Demone Prodigio sia addirittura preoccupato»

Dazai non poté trattenere il sorriso che gli salì alle labbra.

«Così mi ferisci, Chuuya~ Io mi preoccupo sempre» annuì teatrale, con una smorfia di finta apprensione «Uno piccolo come te potrebbe perdersi in mezzo alla folla, o essere calpestato da qualcuno. È qualcosa che mi attanaglia l’anima ogni giorno»

«Brutto stronzo»

Dazai fece un lieve sorriso di reale, piccolo trionfo. Lasciar cadere qualche piccola confessione nel suo blaterare era la cosa che sapeva fare meglio. Un fondo di verità faceva funzionare molto meglio il resto delle sue menzogne.

Due colpi di tosse scossero nel profondo il corpo fragile di Chuuya e un rivolo di sangue gli colò giù dalla bocca. Persero all’improvviso quel briciolo di leggerezza che avevano conquistato a fatica con il loro chiacchierare stupido. Furono riportati in un attimo alla cruda situazione in cui si trovavano.

«Lo sai che… la tua dottoressa non arriverà in tempo»

Chuuya diede voce a quella realtà dei fatti che Dazai stava cercando disperatamente di ignorare, con una rassegnazione nel tono di cui non fu per niente entusiasta. E quella dell’ex partner non era una domanda, ma un’affermazione.

, Dazai ne era consapevole.

No, non aveva comunque intenzione di accettarlo.

Si schiarì la gola e tentò di recuperare un po’ dell’ironia perduta.

«Scherzi? Saranno qui da un momento all’altro» la bugia, a cui voleva credere ma lui stesso non ci riusciva, gli scivolò sulla lingua con una facilità disarmante «Kunikida-kun è tutto per le regole ma guarda che guida come un matto se c’è un’emergenza»

Almeno riuscì a strappare all’altro una risata stanchissima «Dio, a mentire fai veramente schifo al cazzo quando sei stremato»

Dazai incassò il gentile complimento e ringraziò. In quel momento avrebbe preso qualsiasi cosa da Chuuya – insulti, urla, bestemmie – purché non soccombesse al richiamo del sonno. Se rimaneva sveglio Dazai aveva la certezza che era ancora vivo.

Ebbe l’impressione che Chuuya gli si avvicinò appena, abbandonandosi ancora di più col peso sulla sua spalla. Avrebbe potuto facilmente credere al peggio – in barba al sollievo di un attimo prima – ma riusciva ancora a sentirlo, seppur lievemente, respirare.

«Sai, sei sempre stato un partner veramente di merda»

Chuuya inspirò a fatica, il respiro rauco e rotto ancor più di prima, per poi sospirare lentamente.

«Ma tutto sommato non eri… davvero così male»

Ah, no. Dazai sentì l’esasperazione crescergli nel petto. Non avrebbero avuto quella conversazione, quella in cui Chuuya iniziava a parlare come se fosse l’ultima volta che ne aveva l’occasione e gli confessava tutto quello che non aveva mai detto.

No. Se ci teneva, lo avrebbe fatto dopo. Lo avrebbe fatto quando non era più in fin di vita. 

«Chuuya» lo chiamò con una fermezza che serviva da avvertimento «Non ti si addice per niente il ruolo da moribondo. Lascia questo tipo di discorsi ai professionisti, che dici?»

«Dazai»

«Yosano-sensei arriverà in tempo, e quando sarà qui ti rimetterà in piedi in un attimo. Vedrai che ti passerà la voglia di parlare in questo modo»

«Dazai—»

«Devi solo avere pazienza e resistere ancora per—»

«Dazai!»

L’ammonimento questa volta arrivò da Chuuya. Dazai serrò le labbra in una linea così stretta da farsele diventare bianche. Non voleva sentire una parola ma a Chuuya doveva concederlo. In momenti migliori, il suo ex partner gli avrebbe forse masticato la spalla per farlo stare zitto.

(Ah, magari avrebbe dovuto provarci, a continuare a parlare a tavoletta, se serviva a far reagire Chuuya ancora e ancora.)

«Non sento più metà del corpo. A meno che i tuoi amichetti dell’Agenzia non siano alla soglia di questo buco di appartamento, non arriveranno in tempo»

Dazai si coprì il volto con una mano. Avrebbe voluto mettersi ad urlare, a imprecare a gran voce, ma non lo fece. Lasciò che il senso di impotenza gli togliesse le parole di bocca e lo riducesse al silenzio.

Chuuya stava morendo. Si stava dissanguando accanto a lui e Dazai non aveva modo di fermare il sangue, di fermare un bel niente. Non poteva fare nulla.

Proprio com’era successo con Odasaku, quando aveva solo potuto guardare mentre un pezzo della sua anima si spegneva tra le sue braccia. E ora anche un altro minaccia di svanire. Era la stessa cosa di allora, né più né meno.

(E adesso sì che doveva mordersi la lingua per non mettersi ad urlare.)

Ma Chuuya a quanto pare non era propenso all’idea di passare i suoi ultimi minuti sguazzando nell’autocommiserazione. Cercò di prendere la situazione con filosofia nonostante tutto.

«Fra tutti, morire proprio con te fa abbastanza schifo e sa disgustosamente di cliché. Però poteva anche andarmi peggio»

Dazai ingoiò il macigno che aveva alla gola.

«Già, poteva esserci Kajii-kun al mio posto» decise di dargli corda.

«Ti prego, non lo dire nemmeno»

E si ritrovarono a ridere sommessamente tutti e due. Sembravano essere tornati due stupidi adolescenti, costretti a crescere troppo in fretta per stare al passo del mondo ma che ogni tanto recuperavano un po’ della leggerezza che spettava alla loro età.

Dazai lasciò vagare lo sguardo di fronte a sé. C’erano forse mille cose che avrebbe potuto dire ma nessuna trovava il coraggio di salirgli alla bocca, nonostante quella potesse essere la sua ultima occasione che aveva per farlo.

Però non poteva nemmeno continuare a essere un codardo per tutta la vita. Anche questo a Chuuya lo doveva. Così si fece forza e racimolò quantomeno quel poco di sincerità che concedevano brutte vecchie abitudini dure a morire. 

«Devo dire che poteva andare peggio anche a me. In fondo questo chibi non è poi male come compagno di morte»

Chuuya scosse leggermente la testa.

«Non morirai, idiota. Tu fai tanto il maniaco dei suicidi ma in realtà sei fastidiosamente duro a morire» fu di un’altra idea, sebbene lo disse senza reale antipatia nella voce «E poi non avevi detto che volevi trovarti una bella donna con cui fare un doppio suicidio d’amore?»

Dazai gli sorrise, sebbene sapeva che l’altro non poteva vederlo.

«Beh, credo che mi dovrò accontentare di te»

«Oh, ma che onore»

Un nuovo colpo di tosse tolse di nuovo il respiro a Chuuya, e questa volta fu più forte di quelli precedenti. Sputò sangue tanto quasi quanto aveva fatto in corridoio e sembrò che i suoi polmoni fossero sul punto di cedere del tutto.

«Forza, chibi, respira» Dazai cercò di incoraggiarlo, in una preghiera che avrebbe dovuto dare forza anche a lui.

Lo resse per le spalle come aveva già fatto, finché Chuuya non parve tornare a un normale ritmo di respiro – ancora rauco ma quantomeno regolare – e scivolò di nuovo, sempre più stremato, con la testa sulla spalla di Dazai.

Lo sentì tremare in un fremito leggero.

«Avrei… voluto che le cose fossero andate diversamente» gli arrivò alle orecchie una confessione che somigliava quasi a un singhiozzo.

Dazai sentì lo stomaco rigirarglisi dolorosamente.

«Anche io, chibi, anche io»

Dazai prese la mano di Chuuya, priva dei guanti che l’altro aveva gettato via quando aveva iniziato a recitare la sua ninna-nanna di morte. Lasciò scivolare le dita tra le sue e con il pollice prese ad accarezzargli il dorso della mano, nel tentativo di dargli un qualche conforto e di trovarne un po’ anche per se stesso.

Chuuya non disdegnò la cosa. Ricambiò la stretta, ma si mise comunque a sbuffare in una risata.

«Fossi sempre stato così gentile mi avresti risparmiato una cazzo di montagna di problemi, idiota»

E Dazai non poté che dargli ragione.

«Lo so» annuì grave «Lo so»

Davanti agli occhi iniziarono a danzargli macchie nere mentre cominciava ad avvertire anche un senso di vertigini. Controllò di nuovo l’orologio. Altri due o tre minuti al massimo.

«Coraggio, Chuuya, ancora qualche minuto e Yosano-sensei ti farà tornare come nuovo» e spediranno me all’ospedale più vicino, con tanti auguri «Così potrò farti vedere in quanti altri modi so essere gentile~»

Ma il suo cantilenare questa volta non trovò seguito, perché da Chuuya non arrivò nessuna parola. Dazai sentì il cuore piombargli nelle profondità dello stomaco.

«Chuuya?»

Chiamò una seconda volta, scuotendo l’altro piano piano per non fargli male. Non ci fu reazione.

«Andiamo, Chuuya, ho ancora tanti insulti in repertorio da usare»

Ho ancora tante cose da doverti dire.

«Non vorrai farmeli sprecare così»

Ma ancora una volta ottenne solo altro silenzio.

Dazai appoggiò la testa al muro chiudendo gli occhi e serrando la mascella, mentre ingoiava disperazione e qualcosa che non sapeva se fosse una bestemmia o una preghiera silenziosa. Strinse più forte la mano di Chuuya, senza sapere se questi lo sentisse più.

Ancora qualche altro minuto. Resisti ancora un altro minuto.

Quando Yosano e gli altri li avevano trovati, anche Dazai era già svenuto. Gli fu detto dopo che Kunikida si era fatto un’altra corsa, dritto verso l’ospedale più vicino come Dazai aveva immaginato. In qualche modo lo avevano ricucito, rimesso miracolosamente a nuovo dopo un giro di cinque ore in sala operatoria. C’erano volute poi 24 ore prima che riprendesse conoscenza.

Il nome di Chuuya fu la prima cosa che gli salì alle labbra non appena riprese conoscenza, ma dal modo in cui Kunikida abbassò lo sguardo e si rabbuiò in viso non ebbe bisogno né volle sapere altro.

Dazai rimase solo nella sua stanza d’ospedale con un dolore sordo e il rimorso di mille cose che non avrebbe più potuto dire a Chuuya e che avrebbe portato con sé per il resto dei suoi giorni.

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